Dal punto di vista storico la terapia per la prostatite più utilizzata da parte dei medici per gran parte del ventesimo secolo era il massaggio prostatico. A partite dal 1930, con l’introduzione dei farmaci appartenenti alla classe dei sulfamidici, la terapia antibiotica divenne il gold standard terapeutico. Tuttavia, già negli anni cinquanta, si capì cone in realtà la terapia antibiotica, in molti casi di prostatite, avesse un’efficacia di poco superiore al placebo.

Nel 1969 Meares e Stamey descrissero per la prima volta il test delle quattro provette per capire l’organo urinario coinvolto dall’infezione batterica (vescica, prostata od uretra). Lo scopo era quello di selezione quella piccola percentuale di pazienti effettivamente affetti da prostatite batterica e come tali candidabili a terapia antibiotica. D’altra parte, ancora una volta era rimasta esclusa la gran parete di pazienti affetti da prostatite asintomatica, in assenza di infezione batterica chiaramente documentabile. Ancora oggi resta aperto il dibattito legato alla migliore terapia sintomatica e curativa per quanto riguarda il trattamento di questa patologia dalla presentazione e dal comportamento tra i più variegati.

La definizione di una nuova terminologia e di una nuova classificazione, la conoscenza della eziopatogenesi, l’esecuzione di protocolli clinici con outcome validati e la chiara evidenza di come la prostatite in senso lato possa manifestarsi diversamente nei pazienti che ne sono afflitti, possono rappresentare la chiave di interpretazione delle diverse terapie oggi disposizione.

Dal punto di vista epidemiologico la prostatite rappresenta la patologia di più frequente riscontro nei maschi di età inferiore ai 5 anni e la terza patologia in quella superiore ai 50 anni dopo l’ipertrofia prostatica e il tumore della prostata. Oltre il 5% degli uomini tra i 20 e i 50 anni ha o ha avuto in passato una storia di prostatite.

Una prima classificazione delle diverse forme di prostatiti fu proposta da Drach nel 1978 basandosi su studi clinici supportati dal test di Stamey:

  • Prostatite batterica acuta: con secreto prostatico purulento, segni sistemici di infezione batterica, batteri nel secreto prostatico.
  • Prostatite batterica cronica: con presenza di batteri nel secreto prostatico ma in assenza di segni e sintomi locali o sistemici di infezione batterica.
  • Prostatite non batterica: con secrezione prostatica purulenta, in assenza di tracce significative di batteri nell’esame colturale prostatico.
  • Prostatodinia o dolore prostatico cronico: in tutti i rimanenti pazienti con dolore pelvico/perineale/genitale/urinario in senso lato in assenza di batteri o pus nel secreto prostatico.

A questa classificazione ne seguì una seconda del 1999 che rappresentava il criterio migliore per distinguere i pazienti affetti da prostatite cronica rispetto a quelli che lamentavano altre patologie legate all’apparato genitourinario:

  • Categoria I: simile alla prostatite batterica acuta descritta nella precedente classificazione
  • Categoria II: sostanzialmente simile alla prostatite cronica “ classica”
  • Categoria III: presenza di dolore genitourinario in assenza di tracce di batteri chiaramente riscontrabili nei più comuni test di laboratorio. Questa viene suddivisa in IIIA: presenza di globuli bianchi nel secreto prostatico e IIIB: in assenzi di essi.
  • Categoria IV: prostatite infiammatoria asintomatica

La prostatite di IIIB è la forma più diffusa caratterizzata prevalentemente da dolore pelvico e/o perineale di durata superiore a 3 mesi con a volte sintomatologia disurica (difficoltà ad urinare) e dolore durante l’eiaculazione , in assenza di esami colturali dello sperma e/o delle urine indicativi di infezione batterica. L’obiettivo principale di tutte le terapia mirate su questo particolare tipo di disturbo è quello puramente sintomatico, volto ad alleviare la sintomatologia dolorosa descritta, senza in realtà andare a colpire la causa e le cause di questa patologia che molto spesso sono destinate a rimanere sconosciute.