Il tumore della prostata è il cancro più frequentemente diagnosticato nell’uomo. Il PSA (Antigene Prostatico Specifico) è l’esame del sangue utilizzato per diagnosticare il tumore della prostata. Il limite del dosaggio annuale del PSA è che molti pazienti eseguono biopsie prostatiche "inutili", cioè che non identificano alcun tumore e che idealmente dovrebbero essere risparmiate al pazienti.

Pertanto, la ricerca scientifica sta analizzando l’efficacia di altri tipi di marcatori tumorali della prostata che in associazione al PSA possono permettere di individuare i soggetti da sottoporre a biopsia prostatica.

Il primo marcatore è denominato PHI (acronimo della denominazione inglese Prostate Health Index, cioè Indice di salute prostatica) e deriva da un’elaborazione matematica dei dati relativi a tre analisi: PSA totale, PSA libero e 2-proPSA. Il 2-proPSA è una frazione della molecola del PSA che viene misurata nel sangue dopo un normale prelievo. Nei pazienti con PSA totale compreso fra 2.5 e 10 ng/mL, i valori dell’indice PHI sono risultati associati alla presenza di una malattia clinicamente significativa. Il dosaggio dell’indice PHI è particolarmente indicato nei pazienti con valore di PSA totale sospetto (cioè superiore a 2,5 ng/ml) che vengono o valutati per la prima volta dall’urologo o che comunque non hanno ancora eseguito biopsie prostatiche. In altre parole il paziente che oggi sta bene e che desidera essere informato sul proprio rischio di avere un tumore della prostata trova nel dosaggio dell’indice PHI il test diagnostico più accurato.

Nei pazienti che eseguono le biopsie prostatiche per un dubbio tumorale, nel caso in cui queste risultassero negative, si apre un secondo scenario dove il valore di PSA non sempre risulta efficace nell’aiutare la decisione clinica da prendere, ovvero la necessità di un secondo prelievo bioptico prostatico. In questi casi, il dosaggio di un secondo marcatore, il PCA3, è risultato essere molto utile nell’indicare quali pazienti debbano essere sottoposti a un'ulteriore biopsia. Il PCA3, a differenza dell’indice PHI che necessita di un prelievo di sangue, è un marcatore che viene misurato nelle urine dei pazienti dopo essere stati sottoposti a esplorazione rettale. Il PCA3 ha una espressione 60-100 volte superiore nelle cellule tumorali della prostata rispetto a quelle benigne e un valore elevato nelle urine suggerisce la presenza di un tumore prostatico. Come per il PSA e l’indice PHI, il risultato ottenuto dal test del PCA3 non va interpretato come presenza o assenza di cancro della prostata, ma come un indice di probabilità che aumenta o diminuisce in funzione del valore ottenuto. Il punteggio PCA3 può essere inoltre di aiuto nel prevedere l’aggressività del tumore ed è quindi importante per le conseguenti scelte terapeutiche.

In conclusione, l’indice PHI e il PCA3 sono nuovi e promettenti marcatori tumorali nei pazienti con sospetto cancro prostatico. Hanno due ruoli differenti e complementari l’uno all’altro. La valutazione urologica specialistica e l’eventuale esecuzione di una biopsia prostatica rimangono tuttavia elementi fondamentali e insostituibili della cura dei pazienti con malattie della prostata.