Il trattamento medico dell’ipertrofia prostatica benigna (IPB) rappresenta una vera e propria opzione terapeutico e molto spesso unica e definitiva. I pazienti con sintomi minzionali lievi/moderati nel 70% dei casi potranno beneficiare dalla terapia farmacologica e non arrivare mai ad un approccio chirurgico/invasivo per risolvere il problema urologico. Dopo l’inizio di un trattamento la valutazione clinica andrebbe fatta dopo 3-6 mesi magari anche con la misurazione del flusso urinario (uroflussometria). I farmaci maggiormente impiegati per il trattamento dei sintomi da IPB son gli α1-litici selettivi. Conosciamo la prazosina, alfusozina, terazosina, doxasozina, tamsulosina e silodosina. Queste molecole agiscono bloccando i recettori α1 – adrenergici nella muscolatura liscia prostatica e del collo vescicale determinando una riduzione dell’ostruzione indotta dall’ingrossamento della prostata e favorendo espulsione dell’urina dalla vescicale. Come si vede dalla immagine iniziale con questi farmaci il primo tratto del canale uretrale, il condotto che porta l’urina dalla vescica all’esterno, viene rilasciato maggiormente con maggior facilità nell’espulsione dell’urina.
In poche parole il canale risulta meno “stretto” e la forza cioè il flusso urinario risultano maggiori come si può controllare confrontando le uroflussometrie eseguite prima e durante il trattamento farmacologico.
Generalmente questi farmaci vengono somministrati una sola volta al giorno. I sintomi migliorano nell’arco di 2-4 settimane. Se non si hanno miglioramenti dopo 4-6 mesi pare indicato cambiare terapia o valutare altri trattamenti. Alcuni farmaci α1-litici sono riconosciuti come antipertensivi e, pertanto, possono essere utili in questi pazienti che siano affetti da ipertensione arteriosa e IPB. D’altro canto gli effetti collaterali più comuni sono rappresentati dalle problematiche cardiovascolari e cerebrali prodotti dal blocco dei recettori α1 – adrenergici. In 2-5% dei pazienti si può verificare una ipotensione posturale (cioè un calo della pressione arteriosa al passaggio dal clino all’ortostatismo) che può determinare crisi lipotimiche (perdita di coscienza) con pericolo potenziale per le cadute a terra. Questi rischi, attualmente, sono ridotti con l’impiego di farmaci maggiormente uroselettivi (come ad esempio la silodosina) e assumendo il farmaco di sera. La maggior parte degli eventi avversi può, comunque, diminuire col tempo.
Il tasso di insuccesso con gli α1-litici è stimato a 5 anni intorno al 20-30%. Per potenziare l’efficacia di tali farmaci si può valutare l’associazione con i fitofarmaci o meglio ancora con gli inibitori della 5α reduttasi come la finasteride e dutasteride (la cosiddetta terapia di combinazione).
Dott. Gian Luca Milan
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