Operare o non operare? Radio o brachiterapia? Fare un trattamento o tenere la malattia sotto controllo? Le opzioni a disposizione degli uomini con un tumore della prostata sono diverse e le scelte vanno fatte, prima di tutto, in base al tipo di neoplasia e al suo stadio di evoluzione. Una possibile strategia potrebbe essere la sorveglianza attiva ovvero convivere con il cancro rinviando le cure. E’ una possibilità riservata solo a determinate tipologie di malati, con un carcinoma di piccole dimensioni e poco aggressivo (in termini tecnici, appartenenti alla cosiddetta “classe di rischio basso”: T1 e T2a, Gleason non superiore a 6, PSA inferiore a 10 e con non più di due biopsie positive). La sorveglianza attiva consiste, in sostanza, nel posticipare le terapie al momento in cui il carcinoma diagnosticato cambia atteggiamento, se lo cambia. Nel frattempo, il paziente viene gestito come un sorvegliato speciale e sottoposto a esami e visite periodiche per tenere la malattia sotto stretta osservazione. Esplorazione rettale e PSA ogni tre mesi, ripetizione della biopsia a scadenze prestabilite (a un anno dalla diagnosi, poi alla fine del secondo, del quarto, del settimo e del decimo anno).
Un’importante recente lavoro si interroga sulla opportunità di gestire i pazienti a basso rischio con la sorveglianza attiva. Il carcinoma della prostata rappresenta una importante sfida sanitaria in tutto il mondo; causa infatti consistenti percentuali di morbidità e mortalità negli uomini, con una incidenza annuale di circa 1 milione di casi nel mondo e 250.000 morti. L’introduzione dello screening basato sui livelli dell’antigene prostatico-specifico (PSA) ha determinato una migrazione di stadio per cui la maggior parte dei tumori evidenziati dallo screening risultano piccoli, di basso-grado, localizzati e generalmente con una storia naturale protratta nel tempo e una limitata mortalità cancro-specifica. Peraltro, gli effetti associati al trattamento di questo tipo di carcinoma possono essere pesanti e prolungati; infatti dall’analisi degli studi più ampi si osserva la frequente insorgenza di disfunzioni a livello erettile e urinario. Tuttavia, la maggioranza dei pazienti con nuova diagnosi di carcinoma della prostata si sottopone a una qualche forma di trattamento aggressivo indipendentemente dal rischio e ciò sta innescando dubbi sempre più pressanti attorno al tema della sovradiagnosi e del sovratrattamento.
Alla luce di queste realtà, la sorveglianza attiva andrebbe forse considerata una accettabile strategia terapeutica del carcinoma della prostata, con intervento curativo ritardato al momento della progressione o a discrezione del paziente.
Dall’Era Marc A. e collaboratori hanno condotto una eccellente review apparsa sulla rivista European Urology del 2012 che raccoglie dalla letteratura gli studi condotti con sorveglianza attiva e che sottolinea gli aspetti ancora da migliorare riguardo la sua applicazione. In generale, i dati mostrano che i livelli di mortalità specifica risultano bassi (0-1%), con moderate percentuali di intervento nei primi anni; più precisamente circa un terzo dei pazienti riceve una terapia secondaria dopo una mediana di 2,5 anni. Il follow-up mediano più lungo è stato di 6,8 anni. I protocolli di sorveglianza e criteri di inclusione variano tra le diverse istituzioni, pertanto l’eleggibilità varia considerevolmente dal 4 all’82%. Infine, è emerso chiaramente che ripetere la biopsia alla prostata con un minimo di 12 prelievi rappresenta un elemento determinante per il monitoraggio istologico nel tempo. La conclusione degli Autori è che ogni decisione relativamente alla gestione del carcinoma della prostata localizzato, incluso l’approccio di sorveglianza attiva, andrebbe presa su base individuale, paziente per paziente, dopo una attenta ed accurata valutazione del rischio.
I pazienti dovrebbero ricevere informazioni trasparenti e complete in merito alla sorveglianza continua e alla definizione di progressione.
Viene inoltre sottolineato che una biopsia confermativa eseguita entro il primo anno è di importanza critica per limitare il rischio di sottostimare il grado del carcinoma.