Uno dei dilemmi più comuni per noi urologi è il trattamento antibiotico delle infezioni acute o croniche della prostata (prostatiti acute e croniche). Normalmente, gli antibiotici per raggiungere le secrezioni prostatiche e i condotti prostatici devono attraversare i capillari epiteliali e prostatici. La difficoltà nel trattamento di queste affezioni risiede nel fatto che tale diffusione è ostacolata dalla presenza di vasi capillari poco permeabili ai farmaci. Inoltre, l’assenza di meccanismi di trasporto attivi nell’epitelio prostatico rende difficile molto spesso riuscire a creare una concentrazione attiva di farmaci per debellare i batteri presenti nel parenchima di questa ghiandola. Pertanto, per raggiungere il tessuto prostatico o le secrezioni prostatiche, in concentrazione sufficiente da produrre un effetto farmacologicamente attivo, l’antibiotico che scegliamo deve possedere determinate caratteristiche: da un lato deve essere quello giusto per combattere i germi e dall’altro deve poterci arrivare nelle concentrazioni adeguate e deve poter agire in un tempo sufficiente.
Tra i fattori da considerare nella scelta dell’antibiotico, un ruolo di primo piano è svolto dal legame con le proteine plasmatiche e il ruolo del PH (cioè lo stato acido/alcalino di un tessuto). E’ dimostrato che un basso legame farmaco-proteico e un alto PH sono i fattori che determinano la diffusione dei farmaci in caso di prostatite. Studi di farmacocinetica che hanno valutato la distribuzione degli antibiotici nelle secrezioni della prostata, hanno documentato come, in pazienti con prostatite cronica, si abbia un aumento dei valori di pH fino a livelli alcalini (PH prostata normale 6,4). Pertanto, nei pazienti con prostatite bisogna tener conto del pH prostatico per assicurare un’ottimale distribuzione dei farmaci. Alcuni antibiotici come le tetracicline penetrano poco nel tessuto prostatico, altri come i macrolidi in una forma intermedia, altri invece come i sulfamicidi e fluorochinoloni presentano un’elevata capacità penetrativa nel parenchima prostatico. Quindi, in presenza di un’infezione prostatica, si osserva un aumento dei valori del pH (fino a 8,5) e della capacità di assorbimento di tali farmaci. In particolare, si osserva un’elevata capacità di diffusione dei flurochinoloni (ciprofloxacina, levofloxacina, norfloxacina, plurifloxacina …) nella prostata e un’elevata attività nei confronti dei patogeni sensibili. Questo è il motivo per cui i fluorochinolonici rappresentino la prima scelta nel trattamento delle prostatiti acute o croniche.
In caso di infezioni acute della prostata (prostatite acuta) lo spettro batterico assomiglia a quello delle infezioni complicate del tratto urinario ed è caratterizzato da una elevata presenza di E. Coli (67%), Pseudomonas aeruginosa (13%), Klebsiella spp (6%) ed enterobatteri.
Il trattamento farmacologico è normalmente di tipo empirico ed è basato sull’utilizzo di farmaci ad ampio spettro come le cefalosporine di terza generazione o i fluorochinoloni per un periodo di circa 14 giorni.
In caso di un ascesso prostatico, la terapia antibiotica può o meno essere associata al drenaggio chirurgico. In presenza di prostatite in paziente con ritenzione urinaria, si deve pensare ad una cistostomia sovrapubica intermittente o con cateterismo, che però può aumentare il rischio di cronicizzazione, oppure si può ipotizzare un utilizzo di farmaci alfa bloccanti per favorire lo svuotamento vescicale. Solitamente il paziente che si presenta in Pronto Soccorso o nei nostri Reparti viene sottoposto inizialmente a una terapia endovenosa ( penicilline, cefalosporine di III° generazione). Si possono anche associare contestualmente gli aminoglicosidi almeno fino alla defervescenza e alla normalizzazione degli esami di laboratorio. In seguito, si può proseguire con terapia orale mediante l’utilizzo di fluorochinoloni che deve essere praticata per 2-4 settimane. Nei casi meno gravi il fluorochinolone può essere somministrato per un periodo minore.
Anche nelle forme croniche gli agenzi eziologici sono più o meno gli stessi delle forme acute. Il problema delle forme acute sta nel fatto che i batteri si costruiscono una specie di corazza (biofilm batterico) che impedisce ai batteri di agire adeguatamente. Gli antibiotici di prima scelta rimangono i fluorochinolonici per una dura di 4-6 settimane con dosaggio adeguato per non incorrere in recidive o sviluppo di resistenza batteriche secondarie. Ad esempio si può utilizzare la ciprofloxacina 1000 mg al giorno per 4 settimane. Da non sottovalutare gli effetti collaterali di questi farmaci (neurologici, tendiniti fino al rischio di rottura del tendine di Achille). I farmaci di seconda scelta sono i macrolidi efficaci specialmente verso la Clamidia e Micoplasmi. Rari sono gli effetti collaterali. Le cefalosprine di III° generazione possono essere valutate nelle infezioni da Pseudomonas aeruginosa. Tali molecole possono, tuttavia, rappresentare problematiche di tipo allergico.
L’obiettivo comune a tutte le infezioni e quello di eliminare tutte le fonti batteriche. Pertanto, oltre alla valutazione clinica risulta di fondamentale importanza avere degli esami colturali negativi sullo sperma soprattutto nei soggetti giovani per evitare danni sulla fertilità.
Dott. Gian Luca Milan
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