PSA: da controllare a 40 anni
In ambito medico e nella popolazione generale se ne parla troppo e se ne parla spesso male: del PSA. L’Antigene Prostatico Specifico è uno degli esami sierologici più eseguiti ma sul cui valore ed importanza effettiva si hanno delle grosse lacune. Alcuni individui non lo eseguono mai o solo 1 o 2 volte nella loro vita, altri lo effettuato più volte all’anno senza alcuna indicazione o significato clinico. Senza ombra di dubbi, ancora oggi, per noi urologici il PSA rappresenta un fondamentale esame diagnostico per la diagnosi precoce del carcinoma prostatico. La ricerca medica relativa alla diagnosi precoce del tumore della prostata ha prodotto nel corso degli ultimi anni numerosi ed innovativi risultati di grande interesse.
In particolare sono stati completati almeno 4 grandi studi di popolazione che hanno seguito alcune decine di migliaia di soggetti maschi a partire dai 40 anni di età e fino alla loro morte o al compimento degli 85 anni di vita. Si tratta quindi di studi iniziati negli anni sessanta e mirati a studiare il fenomeno dell’invecchiamento. Tipicamente ogni soggetto inserito in uno di questi studi veniva sottoposto ad accurata visita medica ed a prelievo di sangue ogni 12 mesi. Dal punto di vista prostatico, l’idea geniale dei ricercatori attivi in questi studi è stata quella di identificare tutti coloro che erano morti per tumore della prostata o che, pure essendo ancora vivi, avevano sviluppato un tumore prostatico con metastasi a distanza ed andare a dosare proprio in questi soggetti il PSA nei campioni di sangue raccolti 40 anni prima (tipicamente in una età variabile tra 40 e 50 anni) per verificare se fosse possibile identificare un valore di PSA ottenuto in giovane età e già capace di avere un valore predittivo a lungo termine.
Pielonefrite acuta e cronica: differenze
La pielonefrite acuta è una patologia renale che si manifesta sempre improvvisamente. L'infezione e la risultante infiammazione interessano principalmente il tessuto di sostegno all'interno del quale sono situate le piccole unità filtranti, i glomeruli. Ciò avviene talvolta quando i microbi vengono trasportati al rene attraverso il circolo sanguigno da un'altra parte del corpo (via ematogena) o attraverso il sistema linfatico(via linfatica). Tuttavia, nella maggior parte dei casi i batteri infettanti provengono dalla pelle situata attorno all'orifizio uretrale. I batteri possono entrare nell'uretra e diffondersi, attraverso la vescica e l'uretere fino al rene (via canalicolare ascendente). Questo è particolarmente probabile se, per qualche ragione, avviene un blocco parziale del normale flusso urinario; i batteri si sviluppano nel liquido stagnante e non possono essere eliminati con la stessa facilità di quando l'urina scorre liberamente. Ciò tuttavia spiega alcuni, ma non tutti i casi di pielonefrite acuta.
Nella maggior parte dei casi la malattia inizia con un improvviso dolore intenso al fianco. Sebbene possano essere colpiti entrambi i reni, il dolore di solito è più intenso da un lato e si diffonde su quel lato fino all'inguine. La temperatura aumenta rapidamente, spesso raggiunge i 40° C e si hanno brividi scuotenti; possono esservi anche nausea e vomito. Il soggetto può avvertire disuria (difficoltà o dolore durante la minzione) e ha la sensazione di un bisogno costante di urinare, anche se la vescica è vuota. L'urina stessa di solito è torbida o di colore rosso chiaro, se si è verificata una perdita di sangue.
La pielonefrite acuta è un'affezione che compare in tutte le età: in media 1 persona su 250 consulta il medico ogni anno per questo disturbo. Essa compare con una frequenza quattro volte maggiore nelle donne rispetto agli uomini, poiché il potenziale canale di ingresso dei batteri (l'uretra) è molto più corto nelle donne. Diverse condizioni che diminuiscono il flusso urinario rendono l'individuo più esposto a questa malattia; tra queste citiamo gravidanza (la compressione sugli ureteri esercitata dall'utero dilatato riduce il flusso urinario), calcoli renali, tumori della vescica oppure negli uomini un ingrossamento della prostata che può determinare un ostacolo allo svuotamento delle urine e la crescita dei batteri in essa contenuti. Inoltre, un difetto dell'apparato urinario aumenta il rischio che si manifesti il disturbo.
Con un pronto trattamento, le complicazioni sono molto improbabili. In persone molto giovani o deboli l'infezione talvolta passa nel sangue e determinare un’infezione sistemica generalizzata: la setticemia. Ripetuti attacchi di pielonefrite acuta possono indicare che nelle vie urinarie vi è un difetto di base che deve essere eliminato.
Se accusate sintomi della pielonefrite acuta, consultate il medico. L'attacco si risolve nel giro di un giorno o due, ma dopo la guarigione il medico può prescrivervi un esame del sangue e dell'urina, e forse una TAC o Risonanza Magnetica addominale per approfondire meglio l’infezione acuta renale. Potrete anche essere sottoposti a una cistoscopia, per esaminare la vescica. Se siete un adulto sano, i vari test diagnostici raramente sono necessari dopo un solo attacco di pielonefrite acuta, ma se avete avuto attacchi in passato o se il paziente è un bambino, queste prove sono consigliabili per rivelare la presenza di un'affezione di base e per impedire quindi un danno permanente.
Il trattamento della pielonefrite acuta consiste nel riposo a letto e in una dieta blanda, leggera, che comprende dosi abbondanti di liquidi come succhi di frutta o acqua. Inoltre il medico può prescrivervi antibiotici, di solito per bocca. In qualche caso, per esempio persone molto giovani e anziane, può essere necessario un ricovero in ospedale in modo che i farmaci e i liquidi necessari possano essere somministrati mediante fleboclisi. In generale gli antibiotici stroncano l'infezione in 24-48 ore, ma il trattamento è proseguito fino a 10 giorni.
La pielonefrite cronica è un'affezione in cui, nel corso di molti anni, i reni vengono sempre più danneggiati in conseguenza della comparsa di ripetute infezioni urinarie (che di solito non vengono riconosciute). Nella maggior parte dei casi questa malattia compare nei bambini e non viene sospettata fino a quando, dopo alcuni anni, cominciano a manifestarsi sintomi di disturbi renali. Anche in questo caso i batteri infettanti probabilmente riescono a penetrare nelle vie urinarie attraverso l'estremità inferiore dell'uretra (come avviene per la forma acuta). Normalmente queste invasioni batteriche sono limitate alla parte inferiore delle vie urinarie , poiché il flusso urinario evita che l'infezione si diffonda verso l'alto.
Nell'atto di urinare la vescica si contrae e spreme l'urina lungo l'uretra, mentre al tempo stesso alcune valvole chiudono i due ureteri nel punto in cui entrano nella vescica, il che impedisce che l'urina venga spinta contemporaneamente indietro nei reni. Tuttavia talvolta queste valvole non funzionano adeguatamente e l'urina si diffonde sia verso l'alto che verso il basso. Se l'urina è infetta, l'infezione può raggiungere il rene. Le infezioni ricorrenti in persone con difetti valvolari sono la causa della maggior parte delle pielonefriti croniche. Anche i calcoli renali possono provocare la malattia. Alcune volte la pielonefrite cronica è preceduta da attacchi ripetuti di altre infezioni delle vie urinarie, come la pielonefrite acuta o la cistite.
A differenza della forma acuta raramente la pielonefrite cronica provoca sintomi fino a quando non è completamente in atto. Tuttavia talvolta possono comparire segni precoci di insufficienza renale cronica e possono presentarsi aumento della diuresi e stanchezza. Via via che questi disturbi aumentano, possono comparire anche nausea e prurito. In molti casi la pielonefrite viene scoperta in una fase assai più precoce, se per esempio l'individuo si sottopone a esami del sangue o dell'urina per qualche altra ragione.
Ogni anno in Italia a oltre 500 persone viene diagnosticata un'insufficienza renale cronica dovuta a pielonefrite cronica, e per lo più si tratta di donne. Vi sono molte più persone affette da pielonefrite cronica che non presentano insufficienza renale. E poiché la malattia progredisce molto lentamente, vi sono molte persone che vivono molto a lungo senza sapere di esserne affette.
Il rischio principale è che questa malattia progredisca non scoperta fino a provocare una insufficienza renale cronica. Oggi tuttavia ciò non si verifica spesso, poiché la crescente consapevolezza dei pericoli delle infezioni urinarie nei bambini piccoli ha permesso un trattamento preventivo migliore in fase precoce.
Se si hanno infezioni urinarie lievi ripetute o uno dei sintomi dell'insufficienza renale cronica, si deve andare dal medico. Le prove diagnostiche sono le stesse della pielonefrite acuta. Nella pielonefrite cronica senza sintomi, il medico cercherà di impedirne il progredire mediante semplici misure come l'assunzione di abbondanti quantità di liquidi (fino a 3 litri al giorno) e consigliando al paziente di evitare un eccesso di proteine e di sale nel cibo. Prescriverà anche regolari esami del sangue ogni 6 o 12 mesi a scopo di controllo.
Dott. Gian Luca Milan
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Valutazione sessuologica dopo la diagnosi di tumore e prima dell’inizio della radioterapia
Lo studio "Sexual quality of life and needs for sexology care of cancer patients admitted for radiotherapy" condotto da Thierry Almont at al. Presso l’ ”UICT – Oncopole” di Tolosa (Francia) è stato pubblicato sul "The Journal of Sexual Medicine" il 23 Febbraio del 2017, con lo scopo di evidenziare l’importanza dell’informazione e della consulenza sessuologica in pazienti con diagnosi tumorale prima dell’inizio della radioterapia. La ricerca ha cercato di dimostrare quanto il paziente si senta maggiormente supportato se è a conoscenza della possibilità di usufruire di sostegno sessuologico, introducendo un nuovo concetto terapeutico: la ”Onco – sessualità”.
Il campione finale era costituito da 338 adulti (209 donne e 129 uomini) con diagnosi di tumore (alla prostata per gli uomini, alla cervice uterina, utero e ovaio per le donne); alle pazienti donne sono stati somministrati un questionario al fine indagare le generalità dell’individuo, caratteristiche demografiche, tipo di tumore diagnosticato e terapie in atto, informazioni date al paziente dal team medico, attività sessuali, necessità di avere cure in campo sessuale e grado di soddisfazione della vita sessuale. Mentre un secondo questionario indagava la qualità della propria sessualità. Agli uomini sono stati applicati gli stessi questionari, ma adattati al diverso genere.
L’86% delle donne aveva subito altri trattamenti preliminari (chirurgia, ormonoterapia, chemioterapia) prima della radioterapia. Il 35% della popolazione reclutata presentava disfunzioni sessuali anche prima della diagnosi: gli uomini rappresentavano la maggior parte delle persone disfunzionali (eiaculazione precoce) forse anche perché più anziani, invece le donne presentavano dispareunia (soprattutto in caso di tumori pelvici e alla mammella), disturbi del desiderio/eccitazione e difficoltà nel raggiungere l’orgasmo. Dopo la diagnosi di tumore il 30% smetteva di avere rapporti sessuali, mentre un 28% diminuiva sensibilmente l’attività. Una buona parte del genere femminile, invece, diventa maggiormente attiva sessualmente rispetto agli uomini. Il 51% dei pazienti, dopo la diagnosi di tumore inizia a sviluppare nuove disfunzioni sessuali, per il 77% di essi questa era la prima esperienza di un disturbo sessuale. I risultati dei questionari sulla qualità della vita sessuale evidenziano che chi aveva un risultato basso al test prima della diagnosi di tumore, otteneva un risultato identico o peggiore dopo la scoperta del cancro; il tipo di disfunzioni sessuali rimane uguale o aumenta.
Un dato interessante è che il 40% dei pazienti dopo la scoperta della malattia ha richiesto un supporto sessuologico all’interno della terapia; le figure maggiormente contattate sono state, nell’ordine: medico sessuologo, psicologo sessuologo, terapia di coppia e infine i gruppi di sostegno. Le principali limitazioni della ricerca sono state: la popolazione iperselezionata e il fatto che molti pazienti hanno subito altri trattamenti prima della radioterapia. Questa situazione ha generato confusione e danni ulteriori alla sessualità. Un altro fattore limitante è stato lo strumento di valutazione: i questionari, seppur certificati e approvati rimangono metodiche soggettive che non possono considerare tutte le sfaccettature del problema.
Tumore del rene e diagnosi incidentali
Ogni anno in Italia quasi 6.840 persone scoprono ‘per caso’ di avere il tumore del rene: il 60% delle nuove diagnosi avviene infatti grazie a controlli eseguiti per altri motivi. Se la malattia è individuata in fase iniziale le possibilità di guarigione superano il 50%, ma ancora troppi cittadini ignorano i principali fattori di rischio come fumo di sigaretta, obesità ed ipertensione arteriosa. Il fumo di sigaretta aumenta del 54% le probabilità di sviluppare la malattia fra gli uomini e del 22% fra le donne. Un ruolo particolare è attribuito al sovrappeso, a cui va ricondotto il 25% delle diagnosi. Un dato preoccupante se consideriamo che il 45% degli italiani over 18 è in eccesso di peso. È stato stimato un incremento del rischio pari al 24% negli uomini e al 34% nelle donne per ogni aumento di 5 punti dell’indice di massa corporea. Anche l’ipertensione arteriosa è un fattore di rischio ed è associata a un incremento del 60% delle probabilità rispetto ai normotesi. Per questo è importante trasmettere ai cittadini i messaggi della prevenzione. Inoltre, l’impiego sempre più diffuso della diagnostica per immagini consente di individuare la malattia in pazienti monitorati per altre cause. Sono le cosiddette diagnosi “casuali”, estremamente importanti perché spesso mostrano la malattia in fase iniziale. Nel 2016 in Italia sono stati registrati 11.400 nuovi casi, in tutto il mondo ogni anno se ne stimano circa 338.000 (925 ogni giorno, uno ogni 90 secondi). Nonostante si preveda un aumento delle diagnosi entro il 2020 (+22%) ancora oggi le cause di questa malattia restano in gran parte sconosciute.