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Negli ultimo tempi sempre più pazienti che si presentano in ambulatorio mi sottopongono questa domanda: “ho letto che il PSA non serve più a nulla, è vero dottore?”. La mia risposta è sempre questa: “per noi urologi il PSA rappresenta un test assolutamente fondamentale per capire lo stato di salute della sua prostata”. Molto spesso i mezzi di comunicazione di massa (quotidiani, riviste, TV o radio) trattano in maniera superficiale e poco scientifica argomenti di medicina con il rischio di trasmettere informazioni sbagliate all’utenza. In questi ultimi anni questa distorsione di informazione si sta avendo su questo test del PSA con il rischio che molti pazienti, ma anche gli stessi Medici di Medic ina Generale, non lo considerino più come esame importante da eseguirsi periodicamente a partire dai 45 anni. Qui sotto sintetizzerò le principali caratteristiche di questo esame del sangue che rappresenta, ancora oggi, uno strumento imprescindibile per una corretta valutazione urologica nel maschio dopo una certa età.
Il PSA (antigene prostatico specifico) è una proteina, presente nel liquido seminale prodotto dalla prostata ed essenziale per la fertilità maschile. Si può dosare anche nel sangue circolante ma in assenza di malattie della prostata mantiene livelli molto bassi.
La prostata può andare incontro a tre malattie diverse: l’infiammazione, l’ingrossamento benigno comunemente detta ipertrofia prostatica benigna (IPB) ed il tumore. Tutte possono fare aumentare il valore del PSA. L’infiammazione della prostata, denominata “prostatite”, è più comune nei soggetti giovani e si manifesta tipicamente dai 20 ai 40 anni. In questi casi il PSA quasi sempre si alza parecchio e velocemente ma questo non ha alcun significato pericoloso. Si tratta infatti di un rialzo causato dall’infiammazione acuta che dopo adeguata terapia medica rientra sempre nella normalità. Quando la prostata con gli anni si ingrandisce il PSA può alzarsi a seguito dell’aumento del volume della ghiandola, anche se questa ha caratteristiche di totale benignità. Inoltre, se l’ingrandimento prostatico provoca disturbi ad urinare, anche il concomitante stato infiammatorio può contribuire ad aumentare il PSA. Poiché l’IPB si sviluppa tipicamente dopo i 50 anni e cioè nella medesima fascia di età di solito caratterizzata anche dalla insorgenza del tumore della prostata, bisogna essere molto attenti nella valutazione del PSA poiché a volte il suo aumento può essere l’unico segnale della presenza di un cancro prostatico.
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Quanti spermatozoi espelle l’uomo nell’eiaculazione
Ci sono forti variazioni individuali. E’ considerata normale una quantità di almeno 20 milioni di spermatozoi per ogni millilitro di liquido seminale. Dato che il volume dell’eiaculato va da 2 a 6 millilitri, a ogni eiaculazione l’uomo espelle, in media, da 40 a 120 milioni di spermatozoi.
A differenza delle donne, che hanno un numero di cellule uovo fisso dalla nascita, gli uomini producono nuovi spermatozoi per tutto l’arco della vita. Il picco della produzione si ha però fra 18 e 23 anni.
A che velocità “viaggia” uno spermatozoo umano?
La velocità di avanzamento, in media, è compresa tra 1,6 e 3 millimetri al minuto. Il viaggio copre un tragitto di una ventina centimetri (l’utero è lungo circa 6-9 cm e le tube uterine circa 10 cm), e dura in media un’ora.
Alcuni però vanno molto più velocemente. La velocità con cui uno spermatozoo viaggia per fecondare l’ovulo dipende dalla sua forma (quella della “testa”, che contiene il materiale genetico ereditario, e soprattutto quella del “flagello”, l’appendice lunga e sottile che ha compiti di locomozione) e dalla vischiosità del liquido lattescente in cui si trova immerso, insieme a milioni di altri concorrenti.
Velocissimi e incapaci di girare a sinistra
Un gruppo di ricercatori statunitensi grazie a un ingegnoso sistema a LED è riuscito a osservare il percorso di circa 1.500 spermatozoi. Ha scoperto che compiono percorsi a "turacciolo" e girano quasi sempre verso destra
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Questa è la vicenda di un bambino nato ad aprile grazie a una nuova tecnica che utilizza mitocondri di una donatrice per prevenire, nel feto, una grave malattia genetica trasmessa per via materna. Ma il metodo è controverso per ragioni etiche, legali e di riproducibilità.
Il bambino, un maschietto, è nato il 6 aprile 2016, ma la storia di come è stato concepito è stata diffusa dal settimanale New Scientist soltanto nei giorni scorsi. Il piccolo, figlio di una coppia giordana, è il primo a incorporare il DNA di tre adulti, assemblato con una nuova tecnica che ha permesso che il neonato non ereditasse dalla madre una grave malattia neurodegenerativa. La donna è portatrice sana della sindrome di Leigh, una patologia letale che colpisce il sistema nervoso in fase di sviluppo, e che aveva già causato diversi lutti nella famiglia: la morte di due figli (di 8 mesi e 6 anni di età) nati con la malattia, e 4 aborti. La coppia si è così rivolta a John Zhang, primario del New Hope Fertility Centre di New York, che per compiere la procedura, proibita negli Stati Uniti, si è recato in Messico, dove non esistono leggi a riguardo.
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Il papilloma virus umano (HPV virus) è la più diffusa tra le malattie sessualmente tramissibili (MST). Esistono più di quaranta tipi di papilloma virus in grado di colpire gli organi genitali maschili e femminili, ma anche la bocca e la gola: la maggior parte delle persone colpite dal papillomavirus non sa di essere stata contagiata. Il virus Hpv si trasmette per via sessuale, attraverso il contatto con cute o mucose. I microtraumi che avvengono durante i rapporti sessuali potrebbero favorire la trasmissione. La trasmissione attraverso contatti genitali non penetrativi è possibile, pertanto l’uso del preservativo, sebbene riduca il rischio di infezione, non lo elimina totalmente dal momento che il virus può infettare anche la cute non protetta dal profilattico. Numerosi studi concordano nel ritenere che la giovane età, il numero dei partner sessuali e la giovane età al momento del primo rapporto sessuale siano i fattori di rischio più rilevanti per l’acquisizione dell’infezione da HPV virus.
Complessivamente l’elevata prevalenza e la breve durata della maggior parte delle infezioni indicano che l’infezione da HPV è un evento comune, di cui il cervicocarcinoma rappresenta un esito raro. Tuttavia, esso rappresenta il quarto tumore più frequente nel sesso femminile, con una stima di 528.000 nuovi casi all’anno e 266.000 decessi nel mondo nel 2012 (la maggior parte dei quali nei Paesi in via di sviluppo). Nel 2012 si stima che in Italia si siano verificati circa 1500 nuovi casi di cervicocarcinoma e 700 decessi, con una riduzione di circa il 30% rispetto al 2002. Inoltre, i tipi oncogeni di HPV oltre ad essere responsabili della totalità dei tumori della cervice uterina, sono responsabili di circa il 90% dei tumori dell’ano, 70% dei tumori della vagina, 50% dei tumori del pene e 40% dei tumori della vulva. L’HPV risulta inoltre responsabile del 26% dei tumori dell’orofaringe (inclusi i tumori delle tonsille e della base della lingua). Studi epidemiologici hanno rilevato Dna di HPV a basso rischio nel 100% dei condilomi ano-genitali, attribuibili nella maggior parte dei casi ad HPV 6 e HPV 11. Anche il 100% dei casi di papillomatosi respiratoria giovanile ricorrente sono attribuiti ad HPV 6 e 11 nella quasi totalità dei casi.